sabato 15 dicembre 2012

CHE SENSO HA VIVERE SENZA CONDIVIDERE? Per la rubrica libri: "Fai sbocciare un fiore nella notte" di Raffaele Cortellessa

Stamattina, finalmente, al termine della solita settimana fitta e frenetica, ho avuto qualche ora a disposizione per occuparmi di diverse cose. Quel genere di “commissioni” che chi, come me, in settimana non fa altro che lavorare, mangiare e dormire (qualche volta neanche dormire, a dir la verità…) può fare, appunto, solo il sabato mattina.
Ore 8.30, cappellino, guanti, galoche, macchina accesa a scaldare e via per tutta una serie di faccende.
E’ stata la mattinata che (ovviamente con riferimento a quest’anno) mi ha regalato le prime sensazioni di Natale.
Corsi più gremiti del solito, luminarie, altoparlanti che diffondono musica, rimbombare della classica frase “se non ci vediamo più, Buon Natale!” e poi a condire il tutto anche qualche centimetro di neve.
Bella sensazione. Serenità, distensione, azzarderei anche un pizzico di beatitudine. Non so perché certi giorni, come quelli delle ricorrenze natalizie, riescono a infonderti questi sentori di appagamento, non so se sia una questione sociale, spirituale o di atmosfera ricreata ma credo sia una sensazione comune…e questo indipendentemente dall’idea, dalla concezione e dalla fede che ognuno di noi ha nei confronti di questa festività. Per voi non è così?
Poi torno a casa, penso al post della settimana da scrivere e ricordando la bella intervista a Raffaele Cortellessa, opto per la rubrica libri. Ho ancora il suo racconto fresco di stampa sul comodino, non vedo l’ora che inizino le vacanze per potermene godere la lettura.
E’ un racconto basato su storie vere. Io l’ho liberamente ribattezzato una biografia romanzizzata. Raffaele, medico per vocazione e scrittore per amore, spinto da spirito di fratellanza e curiosità un giorno, anzi più notti, decide di uscire di casa con qualche pacchetto di sigarette e qualche bottiglia di birra per passare del tempo con quelli che poi sarebbero diventati i protagonisti del suo racconto, i clochard.
Proprio mentre inizio a scrivere ripenso a stamattina, a quelle suggestioni e non posso evitare di chiedermi se anche i barboni, come quelli del libro, hanno la fortuna di vivere le stesse sensazioni. Spesso ci soffermiamo sulle difficoltà legate al freddo, alla fame, all’igiene..ma quante volte ci fermiamo a riflettere su quanto queste persone, dalla vita sfortunata o talvolta voluta, siano sole?
Li vediamo ai margini della strada e non ci passa minimamente per la testa che, come noi, hanno un vissuto, un bagaglio di pensieri, emozioni, aspirazioni, sogni.
La solitudine a volte è peggio del gelo più pungente.
Siamo animali sociali, che senso ha vivere senza condividere?
Nella speranza che tutti voi possiate trascorrere non un Natale, ma un’intera esistenza di vita condivisa, vi saluto.
Non prima, però, di avervi dato tutte le info per poter acquistare il libro, anche grazie al quale sono nate tutte le considerazioni di oggi:
Fai sbocciare un fiore nella notte” di Raffaele Cortellessa.
Armando Curcio Editore

Buona lettura.

1 commento:

  1. Sono Raffaele Cortellessa, l’autore del libro Fai sbocciare un fiore nella notte. Innanzi tutto ti faccio i compimenti, Emanuela, per il tuo blog che contiene tanti post originali e interessanti e poi ti ringrazio di aver dedicato il post di sabato al tema del mio romanzo. Hai detto delle cose molto giuste: devo confessarti che dopo aver conosciuto tanti clochard ho constatato come la solitudine sia per loro peggio di una bestia feroce da cui non riescono più a difendersi. Proprio per mettere in risalto questa sensazione di logorio interiore ho ambientato l’inizio del primo capitolo del mio romanzo a San Gregorio Armeno, il quartiere dei presepi, a Napoli.
    Ho voluto far risaltare la diversa sensazione che può avvertire una folla festosa che si aggira per queste strette vie nell’imminenza del Natale, inebriandosi delle sue essenze e ammirando i suoi presepi, rispetto a ciò che prova Monsieur Doulen, il clochard protagonista della storia, che non solo non percepisce quei profumi, ma sente che un vuoto incolmabile avvolge la sua anima.
    Nelle varie volte che mi sono avvicinato a qualche clochard cercando di parlarci, ho capito che, in genere, sono ben contenti di scambiare qualche parola con le persone cosiddette “normali”. Fanno eccezione coloro che rifiutano il mondo, che si chiudono in se stessi e non vogliono, per ragioni diverse, rapporti con l’esterno.
    La strada solo per pochi è una libera scelta di vita. In genere ci si arriva dopo disastri e sconfitte, anche se, da quanto ho intuito, la maggior parte di questi uomini e donne hanno dentro di loro il desiderio celato di vivere liberi, sotto le stelle. Ed è proprio questo desiderio di vivere in totale libertà, la gioia di non essere schiavi dell’orologio e delle comodità, la possibilità di godersi in silenzio un cielo stellato, è questo se vogliamo il lato affascinante di questa dimensione umana.
    L’altra faccia della medaglia, il grande rammarico del popolo dei marciapiedi, è, in fondo, il tema di questo Tuo post e cioè il non poter condividere con chi vorrebbero questa libertà.
    In genere si tratta di persone deboli che non hanno la forza di reagire, ma poi dipende dalla gravità di ciò che è successo, perché c’è da mettere in conto anche … l’imprevedibile …
    Quasi mai ci pensiamo, ma l’imprevedibile è quell’evento inaspettato che va al di là di ogni nostra immaginazione e che a volte può decidere le sorti della nostra vita.
    Da questo punto di vista siamo tutti a rischio di diventare clochard, tanto più che la nostra società è diventata molto complessa.
    Comunque voglio riportarti una bella considerazione che mi ha fatto un’insegnante alla presentazione del mio libro. Lei piangendo disse che nella sua vita aveva attraversato un periodo così buio che non vedendo vie d’uscita era caduta in una forte depressione. Per questo riusciva a capire chi aveva fatto questa scelta. Lei, come i clochard, aveva perso tutto, ma per fortuna non la fede e la cultura che sono stati i suoi punti di forza, che l’hanno aiutata ad uscire da questa crisi.
    Di barboni, dicevo prima, ne ho incontrati tanti, tra cui: un ex burattinaio, che per motivi di salute non ha più potuto lavorare, ma che continuava a costruire marionette (che non vendeva); un giovane che aveva fatto il clown in un circo, soprannominato Topo Gigio; un francese che era stato arrestato nel corso di una manifestazione, in Francia, poi dopo varie vicissitudini era giunto in Italia e ora si ritrovava senza documenti e con il desiderio di ritornare a Lione dal padre, ma non così, non con quei panni; la barbona di Genova, di cui ho parlato nell’intervista; un ex venditore di accendini, l’Avvocato …. insomma i personaggi che ritroviamo nel romanzo sono tutti veri, tutti ispirati a loro. Ai miei amici clochard.
    Ciao Emanuela, auguri di buon Natale!



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