E’ la geniale frase di
Eduardo De Filippo a comporre il titolo di questo post.
Chi, forse soprattutto di
questi tempi, non è superstizioso? Se ci penso, proprio in questo periodo,
continuo a vedere colleghi e conoscenti che cadono nella morsa dell’influenza
con giornate all’insegna di febbre alta ed esternazioni intestinali di vario
genere. Ogni volta che qualcuno mi fa notare che non sono ancora stata travolta
dal malanno di stagione faccio le corna e dico “mi sento una privilegiata, per
ora sto benissimo ”.
La superstizione.
Gli esperti in psicologia la
vedono come una sorta di scaccia ansia, uno strumento tramite il quale poter
“scaricare” un po’ di responsabilità rispetto a quello che ci accade intorno.
Se vogliamo, d’altro canto,
potrebbe anche essere un monito, uno stato d’animo che ci rende prudenti e
dunque più accorti nell’individuare cosa fare o cosa non fare per evitare di
incappare in situazioni sgradevoli o pericolose.
Lo sapevate che tutti i
riti e gli oggetti portafortuna che ancor oggi fanno parte delle nostre
consuetudini scaramantiche hanno lontane, lontanissime origini?
Per esempio, è proprio
leggendo l’ultimo libro di Alberto Angela (Amore e sesso nell’antica Roma http://www.librimondadori.it/libri/amore-e-sesso-nell-antica-roma)
che ho scoperto che gli svariati cornini rossi che addobbano gli angoli delle
nostre case, l’abitacolo delle auto, i portachiavi, i lobi delle nostre
orecchie, i nostri decolleté o i nostri polsi con braccialetti tintinnanti,
provengono da oggetti a forma fallica che adornavano le dimore degli abitanti
della Roma imperiale.
Un tempo erano proprio
queste grandi e piccole riproduzioni del membro maschile a fungere da simbolo
di fortuna e buon auspicio. Con l’avvento dello Stato della Chiesa, quegli
espliciti e libertini simboli fallici sono stati rimpiazzati, per ovvie ragioni
morali, da cornetti rossi, che tutt’oggi costituiscono uno degli oggetti più
gettonati in tema di scaramanzia.
Ben più note, forse, le
origini del viola, colore portasfiga sui palchi dei teatri e negli studi
televisivi. E’ il colore della quaresima, periodo durante il quale i teatri
erano chiusi e di conseguenza gli attori costretti a tirare la cinghia.
Anche il famoso “pestare
la cacca” trova le sue remote ragioni nelle sale degli antichi spettacoli.
Trovare “ricordini” di cavallo davanti all’entrata dei teatri significava
grande affluenza da parte dei ricchi del paese, i quali, notoriamente, si
spostavano in carrozza.
Più di stampo religioso
sono i motivi alla base dei quali sopravvivono tuttora usanze come quella di
evitare di mettere il cappello sul letto. Era un gesto che in passato
apparteneva al prete che concedeva l’estrema unzione al capezzale del moriente.
E il famoso venerdì 17?
Quanto al giorno della settimana pare che il riferimento sia dovuto al Venerdì
Santo, giornata in cui i cristiani commemorano la passione e la crocifissione
di Cristo, mentre il 17 sembra sia sinonimo di disgrazia in quanto nella Bibbia
si scrive che il diluvio universale cominciò il 17 del secondo mese.
In ricordo dell’ultima
cena di Gesù, invece, mai in 13 a tavola.
E ancora, il sale buttato a
terra e il ferro da “palpeggiare”. Il primo in quanto risorsa preziosa, il
secondo perché secondo antiche leggende sarebbe nato dal fulmine, quindi
costituirebbe un importante elemento di unione tra cielo, terra e fuoco.
C'è della superstizione nel rifuggire da ogni forma di superstizione
diceva un certo Francis Bacon, pittore irlandese del Novecento.
Io giro con in borsa i
miei immancabili portafortuna e per quanto riguarda le dirette ho il mio
personale rito scaramantico. Non vado in onda se non con una penna particolare
in mano. La Mia penna.
E voi? Quali sono i vostri
riti scaccia malocchio e i vostri simboli di buon auspicio?
Ne parleremo in onda col
sior Paolo. La sottoscritta con la penna in mano ovviamente. :-P